Abbiamo avuto il piacere di intervistare il noto comico e cabarettista milanese, del quale abbiamo la possibilità di mostrare anche il lato serioso e costruttivo. Un uomo poliedrico, costantemente impegnato in diversi progetti di lavoro, acculturato e con ancora tanta voglia di imparare e di dare
Enrico Bertolino nella sua carriera ha partecipato a diversi programmi tv tra i quali spicca Zelig, ha preso parte a spettacoli teatrali e ha recitato in diversi film.
Per coloro che conoscono solo il comico Bertolino, chi è davvero Enrico Bertolino?
Sono una persona che ha avuto ed ha più vite lavorative, prima c’è stata quella della banca, poi è arrivata quella della consulenza ed in seguito, a 37 anni, è iniziata quella artistica. Ho trasformato il mio hobby in un lavoro ed il mio lavoro in un hobby! Questa è stata una cosa che mi ha sempre portato fortuna e mi ha dato modo di poter scegliere di fare le cose che mi piacciono.
Come è nato il comico? Esigenza, ripiego, dote naturale?
Era un hobby e andavo a fare lo scalda pubblico in un locale a Milano. All’epoca insegnavo nei corsi di “Public Speaking” e volevo verificare quanto fosse importante l’arte di far sorridere le persone, distraendole da quello che stavano facendo. Era per me un vero e proprio laboratorio. Dopo questa esperienza mi hanno chiesto di fare spettacolo e poi c’è stato il provino a Zelig e li è cominciata, all’età di 37 anni, un’attività alternativa. Nonostante ciò, continuo ad avere una mia società “Edutainment & Formazione” (istruire ed educare divertendo n.d.r.), con la quale svolgo l’attività di formatore e consulente.
Lei ha partecipato a diversi programmi televisivi tra la fine del millennio ed oggi, quanto ritiene che sia cambiata la TV in questo lasso di tempo?
E’ cambiata fisiologicamente, ma lo notiamo noi che siamo invecchiati guardandola, perché i ragazzi non la guardano più. La TV ha subìto anche il contraccolpo di una concorrenza che non sempre ha portato al miglioramento, a volte ci si rincorre verso il basso e non porta ad offrire sempre cose di grandissima qualità. Il contesto è cambiato anche in virtù dei social network, anche l’intrattenimento è mutato, si lavora più sul talent show, quelli che vengono chiamati gli illusionifici, come ad esempio “X Factor”, la possibilità per tutti di accedere a quelli che sono i famosi 15 minuti di gloria di Andy Warhol. Oggettivamente questa è una richiesta che le nuove generazioni hanno ed è giusto che sia così, anche se a discapito della qualità.
Quale è stato il programma decisivo per la sua carriera?
Sicuramente quello al quale sono più affezionato è GLOB, dal 2005 al 2010, andava in onda su Raitre e l’ho condotto per diverse edizioni. La mia soddisfazione era anche dovuta al fatto di aver interamente disegnato e costruito il programma insieme agli altri autori: Marco Posani, Luca Bottura, Andrea Zalone, Luca Monarca. Zelig è stato importante per la mia carriera di comico, era una famiglia che mi ha chiamato e alla quale ho aderito perché, all’epoca, era l’ambizione di ogni cabarettista o comico. Il programma più importante per me è stato però il Maurizio Costanzo Show che nel 1996 mi ha dato la possibilità di salire su un palco e in quegli anni non c’era nulla di comico in televisione.
Sogni nel cassetto?
E’ un po’ di tempo che ho chiuso i cassetti, adesso cerco di realizzarmi fuori dai cassetti e il desiderio è sempre quello di produrre un mio programma e, in particolare, sto lavorando molto su una trasmissione basata sul lavoro, ma in una dimensione dove si possa interagire con aziende, imprese e portare in televisione anche tematiche sulla formazione, lo sviluppo. Credo fermamente che la vera realizzazione dei ragazzi del futuro sia quella di trovare un lavoro che piaccia.
Un Enrico Bertolino serioso, un inèdito.
La mia attività è sempre quella di far sorridere, per cui per l’eventuale programma di cui parlavo ed anche per il teatro, dove sto sviluppando nuove rappresentazioni, l’obiettivo rimane sempre quello di far sorridere con il mio stile senza battute scontate o grevi, ma con ragionamenti, con racconti.
Informiamo i lettori per quale squadra tifa? E com’è nata questa passione?
Interista da generazioni, nella mia famiglia non si poteva essere altro. Padre, nonno, una dinastia di interisti. Ai miei tempi, negli anni ’60, l’Inter era quella di Herrera ed ho inoltre avuto modo di divenire amico di tanti protagonisti dell’epoca, come Facchetti, Corso, Suarez e non averli più qui è un gran dolore. Personaggi indimenticabili che mi hanno raccontato tante cose di calcio che non si scrivevano sui giornali. Un aneddoto su Giacinto Facchetti: era nato a Treviglio (BG) e mi chiese di rappresentare, per i suoi figli, “il muratore bergamasco” ed io gli dissi che, se fossi andato, sarei rimasto lì a dormire senza andarmene dopo lo spettacolo (sorride n.d.r.). Lì è nata anche un’amicizia con tutta la famiglia ed è anche per questo che ho intitolato a lui (Giacinto Facchetti n.d.r.) il centro sportivo costruito in Brasile grazie alla mia onlus “Fundação Vida”, a Pititinga (Rio do Fogo – Rio Grande do Norte n.d.r.) ed in occasione dell’inaugurazione vennero la moglie Giovanna e due dei suoi figli, Luca e Barbara.
A quanto pare è difficile avere una società economicamente sana e anche vincente. Cosa pensa in merito?
E’ un’alchimia delicata. L’ultima con la quale ho ‘convissuto’ ed ha vinto tanto è stata l’Inter di Massimo Moratti il quale ha messo l’anima per quella squadra, ma soprattutto ha investito davvero molto, avendo ottimi riscontri, ma l’epoca delle squadre con un unico proprietario è irrimediabilmente superata. Adesso ci sono gruppi, fondi e si viene a perdere un po’ quello che era il cuore, l’appartenenza, “la maglia“. Oggi sembra proprio che i debiti siano inevitabili, a parte rare eccezioni quali il Bayern Monaco ad esempio, e bisogna cercare di trovare il giusto bilanciamento e credo che, in questi ultimi anni, Marotta stia dando all’Inter la possibilità di vivere questo equilibrio.
Un suo commento /parere sul derby da poco andato in scena?
Si commenta un po’ da solo. il Milan ha dei talenti che devono maturare ed un gioco che, contro di noi, non si è espresso al meglio. Sinceramente non ho capito e non l’hanno capita in tanti, la mossa di Calabria per una sorta di regia arretrata. L’Inter dalla metà in su è devastante, dietro, forse, potevamo essere attaccabili dalla loro velocità, ma non hanno mai potuta innescarla e devo dire che, tatticamente, Inzaghi ha vinto la partita. Importante anche il fatto di giocare fuori casa per il Milan, di venire da 4 derby persi e credo che andare in campo così sia un macigno in più, però prendere dopo 4′ minuti goal in quel modo, effettivamente, non ha aiutato. Chiaramente Pioli ha cercato di fare quel che poteva anche in considerazione dell’assenza di due centrali di difesa come Kalulu e Tomori. Kjær non ha più il passo idoneo per contrastare calciatori come Thuram e Thiaw, con tutto il rispetto, non lo vedo ancora un calciatore pronto per la Serie A. Comunque, da una parte hai de Vrij e Acerbi e dall’altra parte hai Thiaw, il divario è ancora marcato.
Cosa pensa della vicenda Mancini e dell’arrivo di Spalletti sulla panchina della nazionale?
La vicenda Mancini sa molto di ipocrisia, improvvisamente tutti si svegliano e appaiono sorpresi. Mancini ha risposto ad un’offerta economica molto forte, era in un momento in cui la squadra non lo seguiva, i rapporti con la federazione erano tutt’altro che ottimali ed ha quindi fatto una scelta professionale. Certamente gli si può imputare il fatto di non averlo detto prima e non aver esposto chiaramente la motivazione. Spalletti lo conosciamo bene, essendo stato anche a Milano. Idee di calcio ne ha davvero tante e forse allenare la Nazionale, come dice lui, è meglio perché i giocatori quando li vuoi te li danno. Credo, questa sua uscita, sia stata anche una nota un po’ polemica sia con l’Inter che con il Napoli. All’Inter, ad esempio, lui voleva alcuni calciatori, ma l’erba voglio, nel calcio, se non hai i soldi, non c’è più! Stiamo vedendo che il Napoli, senza la sua guida, fa fatica, perché Luciano è un catalizzatore, un uomo carismatico dalla forte leadership e credo che questo porterà buoni frutti anche in Nazionale. Lo apprezzo molto, anche se il mio idolo come allenatore, come persona è Claudio Ranieri, è un vero signore, uno che di calcio ne ha masticato tanto. Mi ricorda un po’ Osvaldo Bagnoli o Eugenio Bersellini, quegli allenatori capaci di fare un’impresa. Credo sia un uomo elegante, di grande signorilità e competenza. Il gesto fatto a Bari, al termine dello spareggio, ne è testimonianza ed un esempio bellissimo anche per le nuove generazioni.
Ringraziamo thehiveproject.it, ufficio stampa del Sig. Bertolino, per aver gentilmente fornito le foto inserite nell’intervista.
Luigi A. Cerbara