Noi di passione del calcio abbiamo notato che il giornalista, attuale editorialista della Gazzetta dello Sport, era presente durante la presentazione del libro ‘Zdenek Zeman – la bellezza non ha prezzo’, successivamente abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistarlo. Vocalelli nella sua carriera ha diretto il Corriere dello Sport e il Guerin Sportivo e ha collaborato per Repubblica e per la Rai
Secondo lei, cosa differenzia maggiormente Zeman dagli altri tecnici?
La capacità di andare dritto al problema, di esporre le proprie opinioni e le proprie posizioni in maniera chiara, diretta, senza giri di parole. Lui è stato sicuramente un ottimo allenatore da un punto di vista tattico e tecnico ed è stato anche, per tutto quello che ha rappresentato, un grande personaggio nella lotta per la trasparenza nel calcio.
Avrebbe potuto ottenere qualcosa di più, soprattutto nella Lazio o nella Roma?
Come dice lui, ed io sono d’accordo, ha ottenuto il grande risultato di far innamorare e di coinvolgere i tifosi della Lazio e della Roma in una maniera straordinaria. Credo che dal punto di vista tecnico lui abbia fatto quasi il massimo, forse con una maggiore attenzione all’equilibrio difensivo, cosa che lui non ha mai effettivamente trascurato, ma messo in second’ordine, dicendo che se si vince 5-4 è uguale che se si vince 1-0, avrebbe potuto ottenere di più, però tutto quello che ha fatto è già moltissimo.
Magari non sarebbe stato Zeman…
Esattamente!
Quale è stato il momento migliore nella carriera del mister?
Penso che il fatto distintivo di Zeman sia proprio quello di essere un grande allenatore, con la capacità di promuovere un certo tipo di calcio in esperienze e situazioni diverse. Il calcio che aveva in mente lo si è visto in maniera straordinaria a Foggia ma anche prima di quell’avventura. A Foggia in particolare ha toccato il culmine e poi si è ripetuto alla Lazio, alla Roma e ci è riuscito in epoche successive anche al Pescara, il che vuol dire che non è un calcio proponibile soltanto in un ambiente o in una situazione particolare, vuol dire che nella squadra meno titolata, ma anche nella grande città con l’applicazione, si può fare. Questo è il fatto maggiormente importante del calcio di Zeman, perché a volte si tende a pensare che è un calcio adatto soltanto ai gregari e non ai campioni. Lui ha convinto anche i campioni. Totti è stato l’esempio migliore, tutti dicevano che con lui Totti non si sarebbe potuto sacrificare, come invece ha fatto e anzi con Zeman, Totti, ha raggiunto la sua massima espressione tecnica e forse anche atletica. Questo significa che un campione deve essere campione anche nella disponibilità, così come lo è stato Totti o anche Signori, come anche altri giocatori che hanno messo in pratica le sue idee.
Lei pensa che l’allenatore Zeman abbia fatto del bene al mondo del calcio?
Assolutamente sì, ripeto, l’allenatore Zeman ha portato un entusiasmo contagioso dovunque è stato e un’ammirazione anche in molti tifosi che lo vedevano dall’esterno. Il tecnico boemo è stato decisivo anche nell’ambito comunicativo perché se comunque si è aperto un fronte sui due temi che lui ha indicato, quello dell’abuso di farmaci e quello degli uffici finanziari, è stato grazie a Zeman.
L’uomo Zeman col suo essere intransigente ha fatto più bene o più male al pianeta calcio e perché?
Ha fatto sicuramente più bene e si vede ed è dimostrato dagli attestati di stima che riceve da quasi tutti i calciatori che lui ha avuto, i quali si sono sentiti, da lui, garantiti sia da un punto di vista tecnico ma anche comportamentale. Se lui oggi ha questo affetto travolgente che è stato dimostrato anche nella presentazione del suo libro dai suoi vecchi giocatori che sono andati lì a salutarlo è perché si sono, appunto, sentiti garantiti sia da un punto di vista tecnico che come uomini.
Negli anni caldi di ostracismo verso Zeman, secondo lei, la stampa italiana poteva fare meglio? E, ancora, la stampa italiana ha appreso una qualche lezione per cui oggi se ne vedono i frutti?
Io sono sempre contrario alle generalizzazioni, la stampa italiana, i giornalisti italiani, così come di qualsiasi altra categoria, i politici italiani, gli avvocati italiani etc. penso che in ogni categoria c’è chi si comporta in un modo piuttosto che in un altro e non mi permetto di dire che quelli che in qualche modo hanno avanzato dei dubbi su Zeman allenatore, o anche delle perplessità su quello che lui diceva, abbiano sbagliato o fossero in malafede, perché ognuno risponde per ciò che pensa e dice. Penso che, in assoluto, la stampa italiana sia stata lo specchio di quello che pensavano molti sportivi, cioè che lui stesse facendo del bene allo sport italiano e chi l’ha pensata diversamente non è condannabile.
Quindi la stampa italiana non ha avuto un qualche beneficio dalla vicenda Zeman?
Zeman quello che ha fatto non lo ha mai effettuato per cercare benevolenza o appoggio da parte della stampa ma era diretto al mondo dello sport, soprattutto per tutti i praticanti sia a livello massimo che dilettantistico. Ha raccontato quello che serviva per poter essere atleti puliti: la fatica, l’allenamento ti permettono di raggiungere certi risultati. Nel raccontare ciò non credo si sia mai posto il problema dell’opinione della stampa, quello che gli premeva era il parere dell’opinione pubblica e le ripercussioni positive che le sue esternazioni potevano portare.
Lei è stato scelto dall’Istituto dell’Enciclopedia Treccani per la stesura di un saggio sull’Uomo e lo Sport del Terzo Millennio, quali sono i nomi che rappresentano meglio questa epoca sportiva?
Si tratta di un saggio che spiega come è cambiato lo sport, i mutamenti nel terzo millennio dal punto di vista sociologico, fisico, atletico, non è quindi un riferimento soltanto agli atleti, bensì al modo di intendere lo sport in una nuova dimensione. Sarebbero tanti i nomi da indicare.
Possiamo dire che l’apice delle sua carriera sia stato raggiunto nel 2006 con la direzione del Corriere dello Sport – Stadio, quando la nazionale si laureò Campione del mondo?
Sono diventato Direttore nel 2003 e nel 2006 non è stato in realtà un apice determinato da me ma dagli eventi, l’Italia ha vinto il campionato del mondo e il giorno dopo il trionfo abbiamo venduto due milioni di copie. Quello che mi piace della mia carriera è il fatto che abbia avuto una bella continuità, perché dopo 9 anni di direzione del Corriere dello Sport ho preso altre strade, sono andato a Repubblica, alla RAI, poi ho coperto il ruolo di Capo della comunicazione e dell’ufficio stampa del Comitato Promotore per le Olimpiadi del 2024 per poi tornare al Corriere dello Sport per altri tre anni di direzione avviando il progetto di cambiamento del formato digitale del giornale, un passaggio molto delicato. Ora sono editorialista della Gazzetta dello Sport. Quindi più che di un apice mi piace parlare di una continuità e della possibilità di fare esperienze nuove. Sicuramente posso dire che una della soddisfazioni più grandi è avvenuta nel 2007: aver ideato, varato e diretto il nuovo sito del Corriere dello Sport, perché credo che la multimedialità sia veramente la strada del presente e del futuro.
Progetti per il futuro?
Vivo bene il presente, senza pensare al passato il quale è stato ricco di soddisfazioni e senza guardare troppo al futuro. Ho imparato che bisogna vivere il presente con soddisfazione, con il piacere di farlo, quindi vediamo quello che riserverà il futuro ma senza ansie. L’esperienza per la Gazzetta dello Sport come editorialista mi va più che bene.
Si sente di dare qualche consiglio per emergere in questo mondo giornalistico stracolmo di notizie nel quale è sempre più difficile affermarsi?
Essere originali perché credo che in questo mondo spesso si tenda a farsi trascinare dall’ovvio e dalla quotidianità, bisogna cercare di essere sempre ‘unici’. Durante il periodo nel Corriere dello Sport, nelle riunioni ho sempre detto che almeno l’80% del giornale doveva avere quelle che io definivo ‘argomenti nostri, inchieste nostre, approfondimenti nostri’, perché altrimenti si rischia l’omologazione e lì si perde il confronto con chi ha più mezzi, più possibilità. Certo, l’essere originali richiede un grande sforzo, perché le idee sono quelle che contano ma producono fatica.
Fonti foto: DagoSpia.com; calcionapoli24.it; tuttonapoli.net
Luigi A. Cerbara