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Becoming Zlatan – Ibra, documentario fuori e dentro il campo

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In occasione del trailer del biopic della leggenda svedese (in uscita a settembre) breve retrospettiva sul film del 2016

L’unica cosa certa nella vita è il cambiamento, diceva Buddha. Effettivamente, il cambiamento -che sia d’umore o di maglia conta fino a un certo punto- è proprio ciò che meglio tratteggia il biopic del 2016 su Zlatan Ibrahimovic.
Maglioncino color lilla, sbadiglio annoiato assieme a un suo assistito (non è Mino Raiola, che tuttavia non può mancare nel lungometraggio); poi, nella sequenza iniziale in musica, un piano sequenza con tutte le immagini, dalle ultime (in forza allora al Paris SG) fino agli esordi assoluti. Becoming Zlatan inizia così, con la presentazione all’Ajax. Da una parte la granitica tranquillità olandese, che se ne frega della popolarità -basta sapersi comportare- dall’altra il giubilo di una leggenda Oranje come il dt Leo Beenhakker, severo ma entusiasta del nuovo acquisto.

Da Amsterdam ci si sposta a Malmö, città natale della futura leggenda, si arriverà fino ai tempi della Juve. Capisci quanto schietto, diretto e sanguigno sia il legame tra le piccole città e i suoi idoli, quando lo stesso presidente del club Malmö convoca l’ex stella del Bari e della nazionale svedese, compagno di Ibra in quei tempi del Malmö, Yksel Osmanovski, per parlare solo e soltanto del caratteraccio di Ibra, con lo stesso campione scandinavo presente.

Ci si chiede soprattutto quanta lungimiranza ci sia stata nel riprendere ore e ore di ciò che avrebbe potuto essere una carriera come tante: gli esordi svedesi nella Superettan (la B svedese) per poi guadagnare subito la Allsvenskan, la massima serie. Eppure, la tenacia paga: il risultato è questo immenso e riuscitissimo Truman Show in cui la scelta di alternare sequenze da Malmö e Amsterdam risulta vincente, non troppo prevedibile. Un tennis intelligente, il descrivere tutte le tappe calcistiche di Ibra sarebbe stato troppo a rischio noia. La classica parata di stelle (in cui oltre alle immancabili leggende olandesi si affianca un graditissimo Jari Litmanen) non può non impreziosire il tutto. E’ un Ibrahimovic dai mille volti: tanto ruggente, quanto spesso fragile e solitario.

Un po’ di lunghezza eccessiva della narrazione, ma difficile aspettarsi qualcosa di diverso dalle biografie pallonare su celluloide. Lunghezza che, tuttavia, viene centellinata bene quando il discorso entra nel vivo: il caratteraccio di Ibra, ok, ma non intesa come maschera da indossare dentro e fuori dal campo. Il gran pregio di Becoming Zlatan è proprio questo: il non rispettare le aspettative di chi avrebbe voluto veroniche a tutto spiano né risse da wrestling o facce da duro per novanta minuti. Il prodotto è gradevole, impreziosito peraltro da una colonna sonora molto easy, che calza bene lo spirito del lungometraggio. Dal panorama dei biopic ci si aspetta la solita roba scontata. Rubando metafore calcistiche, la realtà vince sulla fiction con almeno tre reti di scarto. Andando in svantaggio inizialmente però: ciò che l’emozione ti trasmette, viene comunque superato dall’eccesso dell’emozione stessa. Ecco perché, se volete avere un buon prodotto su Ibra, Becoming Zlatan basta e avanza.  Per cui, consiglio spassionato: a settembre, quando uscirà I am Zlatan, i soldi del biglietto spendeteveli in un paio di birre, o in quel che vi pare. Anzi, se vi avanzano 2 euro e 99, usateli per guardare Becoming Zlatan. Netflix, Prime Video, come cascate cascate bene.

Valerio Campagnoli (Fonti IDFA, Amazon, SoccerMovie)

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