Soprannominato ‘Golden Boy’
Gianni Rivera nasce a Valle di San Bartolomeo, in provincia di Alessandria, il 18 agosto del 1943. Gli appassionati di calcio sono da anni divisi in due solide fazioni, di cui una sostiene che Pelè sia stato il migliore e l’altra afferma che meglio di Maradona non c’è stato nessuno, nemmeno la Perla Nera. Per quanto riguarda invece l’Italia, la diatriba riguarda altri due fuoriclasse assoluti: Gianni Rivera e Roberto Baggio. Il confronto fra i due è arduo, due ruoli diversi in due diversi tipi di universo calcistico, il primo appartenente al vecchio calcio, il secondo facente parte degli anni ’90, il calcio che precede la crisi del 2000. Senza dimenticare il più grande giocatore italiano di tutti i tempi Giuseppe Meazza.
Gianni Rivera era un centrocampista di una tecnica e di una classe sopraffine, capace di far segnare e di andare in gol con buona frequenza. Se si volesse abbozzare un paragone, Rivera era un Kakà (Totti è troppo più attaccante) con meno rapidità, ma con molta più eleganza, più carisma e con un senso del gol decisamente maggiore di quello del brasiliano. Non a caso, le sue 128 realizzazioni in 527 gare disputate sono uno score che sarebbe di tutto rispetto anche per un attaccante.
Ragazzo semplice e di origini umili, inizia a giocare con la squadretta parrocchiale del suo paese. Questa sua caratteristica, oltre all’assidua frequentazione, anche da adulto, della parrocchia e di Padre Eligio, gli varrà il poco simpatico soprannome di abatino, coniato per lui da Gianni Brera. Notato da Franco Pedroni, ex difensore del Milan e allenatore dell’Alessandria, debutta in Serie A nel 1959, a sedici anni non ancora compiuti, con la maglia della formazione piemontese, contro l’Inter. E’ una sorta di segno del destino, poiché solo l’anno successivo il Milan di Nereo Rocco, innamoratosi di questo ragazzino dai piedi fatati, lo acquista dall’Alessandria. E’ l’inizio di una carriera lunga e sfavillante, durata oltre 19 anni, che lo porterà a disputare ben quattro Mondiali. A 19 anni è già un titolare inamovibile del centrocampo di una delle migliori squadre d’Europa e, nel ‘62, vince il suo primo campionato. Come già detto, segna e fa segnare ancora di più, servendo palloni dorati ai suoi compagni di squadra, tra cui figurano, tanto per dirne qualcuno, giocatori come Altafini, Schiaffino e Liedholm, anche se quest’ultimo chiude la sua carriera da giocatore subito dopo. In quello stesso anno Rivera debutta in Nazionale, in cui giocherà per dodici anni. Nel ’63 arriva la sua prima Coppa dei Campioni, conquistata contro il temibile Benfica del grandissimo fuoriclasse portoghese Eusebio. Negli anni successivi arrivano poi successi a ripetizione, a riprova della forza straordinaria di quel Milan, degno di essere nell’Olimpo del calcio mondiale assieme al leggendario Real Madrid di Di Stefano ,Puskas e Gento.
Arrivala Coppa Italia seguita l’anno successivo da uno scudetto strappato con i denti all’Inter di Helenio Herrera. Il 1968 e il 1969 sono tuttavia gli anni migliori di Rivera: con le sue prestazioni trascina la Nazionale alla vittoria dell’Europeo nel ’68.
Foto di Rivera con la maglia della Nazionale italiana
L’anno successivo, fa lo stesso con il Milan, che guida fino alla vittoria di un’altra Coppa dei Campioni, stavolta a spese dell’Ajax di Rinus Michels, il cui leggendario Calcio Totale è ancora in fase di sviluppo. Dopo la Coppa Intercontinentale, infine, l’Europa intera non può non accorgersi di questo ragazzo e, difatti, Rivera vince il Pallone d’Oro, sbarazzandosi finalmente dell’odioso soprannome abatino e guadagnandosi quello, ben migliore, di Golden Boy. Nel ’70, Rivera mette a segno altre reti, anche se quella più importante è sicuramente quella contro la Germanianel leggendario 4-3 messicano. La stampa è tutta per lui, ma il c.t. Ferruccio Valcareggi, in finale, gli preferisce Mazzola e il Brasile, anche se non certo per colpa di Mazzola, ci fa a fettine. Rivera entra solo negli ultimi, famosi sei minuti. L’amarezza è tanta, ma Rivera, sempre calmo e molto professionale, non batte ciglio, anche se torna a dedicarsi più al Milan che all’Azzurro. Nel ’72 arriva la seconda Coppa Italia, nel ’73 ce n’è un’altra, seguita poi dalla vittoria della Coppa delle Coppe. Dopo questa data, il Milan attraversa alcuni anni di semi-crisi, in cui non vince nulla. In Europa, in particolare, il dominio è dell’Ajax, cresciuta e con un giocatore, di nome Johan Cruyff, semplicemente eccezionale. Prima di vedere un altro successo, bisogna aspettare il 1977, con una Coppa Italia, che già stava però perdendo lentamente importanza (non era ancora considerata un portaombrelli come oggi, ma poco ci mancava). Finalmente, nel ’79, arriva un altro scudetto, il terzo per Rivera, che può così finalmente tornare a sollevare un trofeo di una certa importanza. A 36 anni suonati, tuttavia, Rivera comincia a capire che è il momento di farsi da parte. Preferisce lasciare ora, con uno scudetto tatuato sul petto, da vincitore insomma, piuttosto che inseguire ancora vittorie che potrebbero non arrivare. Il suo unico rammarico sarà quello di non aver aspettato altri tre anni, per conquistare con la Nazionale l’unica cosa che non ha mai vinto, il Mondiale. Dal 1979 fino al 1986, dopo il ritiro, diviene vicepresidente del suo Milan e questo suo nuovo ruolo di dirigente gli piace, tanto da spingerlo ad intraprendere la carriera politica: nel 1987, infatti, Gianni Rivera è deputato alla Camera, dal 1994 al 1996 è presidente del Patto Segni e segretario alla Presidenza della Camera. Dal 1996 al 2001 è invece sottosegretario alla Difesa nei governi dell’Ulivo. Dal 2001 è consigliere per le politiche sportive del Comune di Roma e membro della Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori. Nel 2004 è stato candidato alle elezioni europee per la lista di Uniti dell’Ulivo nella circoscrizione nord-ovest, ricevendo circa 45mila preferenze. Infine, dall’aprile 2005 Rivera è deputato del Parlamento Europeo. Da alcuni anni diversi premono per la sua elezione a presidente della F.I.G.C., convinti che con lui, grande simbolo del calcio italiano e non solo, questo sport possa tornare ai suoi antichi splendori. Da parte mia, che ho avuto il piacere di incontrarlo, non posso che dichiararmi più che favorevole a questa ipotesi, che per il nostro calcio sarebbe utile ancor più che suggestiva.
Palmares:
3 scudetti: (’61/’62), (’67/’68), (’78/’79, quello della stella);
2 Coppe Campioni (’62/’63), (’68/’69);
1 Coppa Intercontinentale (’69);
2 Coppe delle Coppe (’67/’68), (’72/’73);
4 Coppe Italia (’66/’67), (’71/’72), (’72/’73), (’76/’77);
1 Pallone d’Oro (1969).
Stefano Rizzo