Con il tecnico toscano abbiamo parlato di calcio, ricordando la splendida cavalcata del Palermo, toccando anche tanti altri temi
Silvio Baldini dopo diverse esperienze da tecnico in serie C debutta in B con il Chievo, nel ’97, poi l’anno successivo sempre in cadetteria allena il Brescia, ma la svolta arriva all’Empoli. Alla terza stagione sulla panchina dell’Empoli centra la promozione in A e ottiene la salvezza l’anno successivo. Poi il Palermo in B e Parma, Lecce, Catania in A, di nuovo B con Empoli e Vicenza. Qualcosa non va, troppi gli esoneri e Baldini si ferma per 6 anni. Riparte, ed è un ritorno, con la Carrarese in C, allenando gratuitamente. A noi della redazione ha colpito l’intervista rilasciata da Silvio Baldini all’indomani della promozione in B del Palermo nella scorsa stagione dopo un’incredibile rimonta. “La svolta? Ho mostrato ai giocatori la foto di mia figlia disabile. Io volevo a tutti i costi fare l’impresa con quel gruppo, considerato fino a quel momento non all’altezza. Ho spiegato alla squadra che vedevo loro come vedo la mia Valentina (la figlia, ndr). La mia Valentina, essendo disabile, non viene vista come una bimba ma come un ‘mostriciattolo’. Questo a me non accade. Io la vedo con gli occhi dell’amore. Io vedo un angelo, un regalo, un dono. Se il Palermo ha vinto è grazie a questo dono. L’ho detto al presidente e al direttore. I giocatori sapevano che non volevo nessuno, per me erano tutti Valentina. Questa cosa ci ha dato una forza…”. La scorsa estate Silvio Baldini a sorpresa lascia il Palermo perché non si sente parte del progetto. Sempre in B siede sulla panchina del Perugia, ma dopo tre giornate e altrettante sconfitte si dimette nuovamente: “Questa squadra non è una famiglia”.
Cosa significa essere fuori dagli schemi?
Essere se stessi senza scendere a compromessi in un mondo quello del calcio sempre più legato al business.
Cosa le hanno insegnato i sei anni, dal 2011 al 2017, fuori dal giro del calcio?
Non provavo più le emozioni sane nel fare l’allenatore ma solo angoscia, poi dopo diversi anni la Carrarese ha creduto in me e mi si è riacceso qualcosa, sentivo di poter essere nuovamente utile.
Lei guidò appunto la Carrarese in C per 4 anni gratuitamente, allenare in libertà non ha prezzo?
Potevo fare quello che volevo, rispettando tutti logicamente. Il mio obiettivo era costruire qualcosa di importante anche in una società con poche risorse economiche. Al quarto anno, dopo il secondo posto dell’anno precedente, qualcosa si è rotto. In società erano diventati troppo ambiziosi rispetto al potenziale effettivo.
I pro e contro del mondo del calcio?
E’ uno sport che da anni continua a emozionare milioni di persone, di contro troppi addetti ai lavori pensano solo ai loro interessi in maniera illecita.
Del mondo in generale?
Sempre le emozioni, purtroppo però l’uomo spesso è acciecato dal denaro che è la causa principale dei conflitti, della violenza, dell’invidia e della frustrazione.
L’impresa ‘impossibile’ di portare il Palermo dalla C alla B come nasce e si sviluppa?
A distanza di diciassette anni sono tornato su una piazza a me molto cara. A Empoli ormai ero diventato un mister lanciato, stavo bene. Arriva il presidente Zamparini e mi offre una barca di soldi per allenare il Palermo in serie B. Scelgo i soldi e tradisco me stesso, mi perdo. Negli anni in cui non allenavo passavo l’inverno in Sicilia e mi fermavo spesso al santuario di Santa Rosalia. Sapevo che sarei tornato sulla panchina rosanero. Grazie alla fede ho tanta forza che mi dà la spinta per raggiungere gli obiettivi. Tutto il gruppo ha creduto in me e sul campo abbiamo macinato vittorie per approdare in serie B.

In precedenza il suo momento migliore è stata la promozione in massima serie e la salvezza in A ottenute con l’Empoli tra il 2002 e il 2003?
Assolutamente sì.
Quali caratteristiche principale deve avere un gruppo per poter fare la differenza?
Credere all’obiettivo, alimentare l’autostima, dare tutto, poi i risultati arrivano. Per me la testa dei giocatori è più importante di ogni cosa, poi naturalmente ci vogliono anche la tecnica e le prestazioni fisiche.
Le sue passioni più grandi?
Stare in mezzo alla natura, i cani e soprattutto la mia famiglia composta da mia moglie e tre figli, sono tutto per me.
Un messaggio che si sente di lanciare?
Stare dalla parte di chi soffre. Fermarsi per dedicare del tempo a queste persone. Se lo si fa si diventa migliori, si acquisisce una forza pazzesca, anche un calciatore potrebbe intraprendere questo percorso per rendere meglio in campo. Inoltre bisogna accettare quello che si ha, un povero che ha come obiettivo l’acquisto di una Ferrari vive frustrato e rimarrà deluso. Ciò che abbiamo di più prezioso è il tempo. Infatti se una persona scopre di avere un brutto male la prima domanda che rivolge al dottore è: ‘quanto tempo mi rimane?’. Ecco non dobbiamo disperdere il nostro tempo.
Fonte foto: GianlucaDiMarzio.com; AgenziaImpress.it
Stefano Rizzo