Il popolare giornalista di Sport Mediaset, tra i più amati della tv, parla a cuore aperto, soffermandosi in particolare su calcio e musica, grandi amori da sempre. Ecco, tra ricordi ed attualità, come ha risposto alle nostre domande
Abbiamo recentemente intervistato i figli di Biscardi. Come è stato lavorare con Aldo? La sua lezione principale? Cosa amava del suo programma?
E’ stata una particolare parentesi della mia vita professionale, molto intensa perché ero agli inizi dell’ avventura nell’ allora Tele+ quando a un certo punto l’editore pensò di chiamare Aldo Biscardi alla direzione (ed il suo Processo di conseguenza con lui). Aldo era una persona di buon cuore, con un’unica fissa, il suo programma, ma con noi “suoi” giornalisti è sempre stata una persona molto protettiva e rassicurante. Il Processo era la sua anima, la sua vita, era parte integrante della sua persona, ricordo con piacere le riunioni del lunedì pomeriggio, quando si costruiva il programma, con quelle sue idee che a volte potevano sembrare piuttosto particolari e curiose, fino a scoprire che lui aveva perfettamente capito cosa volesse vedere e sentire la gente a casa. Aldo (e con lui l’indimenticato Maurizio Mosca), sapeva perfettamente che la discussione al bar del lunedì mattina doveva essere trasportata in televisione la sera stessa. Erano tempi diversi, non c’era ancora la frammentazione delle partite di oggi, quindi i temi erano sempre freschi e da “spolpare” nel suo salotto. E’ stato comunque un personaggio che ha segnato parte della storia della televisione sportiva, bisogna dargliene sicuramente atto, a prescindere se il suo Processo abbia incontrato o meno i gusti di tutti. Ripeto, era un direttore che avrebbe protetto sempre e comunque i suoi ragazzi.
Che ricordi ha della sua trasmissione su John Lennon? È stato un punto di riferimento musicale per lei? I suoi cantanti, gruppi preferiti?
Intanto mi fa molto piacere ricordare quella produzione, lavoravo a Telelombardia in quel 1990 in cui si celebrava il decennale dell’assassinio di Lennon. Proposi al direttore Biagio Longo uno speciale che lo ricordasse e lui me lo autorizzò senza problemi, fu per me un momento professionale molto toccante: seppur nel mio piccolo, poter raccontare in televisione un personaggio di tale spessore un po’ mi spaventava ma allo stesso tempo mi inorgogliva tantissimo. A rivederlo oggi provo un senso di nostalgia incredibile per quei tempi in cui il giornalismo era decisamente ancora un’altra cosa, non voglio dire meglio o peggio, sicuramente diverso. Lennon e i Beatles sono sempre stati più di un riferimento per me, non solo musicalmente ma anche culturalmente, sono sempre stato un appassionato della cultura beat britannica di quell’epoca. Devo ammettere che non sono un grande amante della musica dei nostri giorni, tranne pochi esempi. Quando ho voglia di ascoltare un disco, Beatles a parte, preferisco rifugiarmi nei Pink Floyd e ai gruppi di quella generazione. L’argomento musica è talmente vasto che contano solo le vibrazioni e le emozioni che riesce a procurarti, a me può accadere anche con un brano classico o con una canzone di Dalla. Sicuramente non fatemi ascoltare rap o trap dei giorni nostri. Mi spiace, ma non li sopporto.
Il giocatore migliore di Italia ’90? L’episodio più curioso che le capitò durante la sua trasmissione per quel Mondiale?
Roberto Baggio sicuramente, l’ho sempre adorato e non fatico a riproporlo come il migliore anche nel mondiale sfortunato di 4 anni dopo. Di quella trasmissione, che mi riporta indietro di 30 anni, non ho un solo ricordo curioso ma il ricordo di una bellissima avventura televisiva in una emittente, Telelombardia, che all’epoca era molto importante e molto bene strutturata e che aveva già prodotto programmi di grande successo come “Qui studio a voi stadio”, del quale mi onoravo di far parte. Di “Milano 90” ricordo gli sketch divertenti di Bebo Storti e Antonio Catania, anche loro erano agli inizi televisivi, poi sarebbero diventati attori di cinema e teatro di primissimo ordine. All’epoca si divertivano con noi e con il calcio mondiale.
Chi era il suo maestro nel giornalismo e beniamino sportivo da piccolo?
Non ne ho avuto uno in particolare, diciamo che mi piaceva molto seguire Gianfranco De Laurentis e Beppe Viola, li ascoltavo sempre con molto piacere, due modi diversi di fare giornalismo ma di grande professionalità e preparazione. Poi non posso dimenticare Aldo Giordani, essendo stato io un giocatore di basket, così come anni dopo ho avuto la fortuna di conoscere un personaggio eccezionale come Giampiero Galeazzi. Non beniamini, ma persone che ascoltavo sempre con molto piacere.
Il mondo del giornalismo è ormai immerso nell’era delle “aste pazze” per i diritti tv. Come la vivete nei colloqui tra colleghi di testate concorrenti, casomai amici nella vita privata?
Ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. Io ho cominciato la mia carriera professionale a livello nazionale proprio nella prima pay-tv italiana, Tele+, la prima anche a portare il calcio in televisione e a sborsare enormi quantità di soldi per accaparrarsi i diritti tv. Poi ho vissuto l’esperienza di Sky e Mediaset Premium, di pazzo ormai non c’è più niente, nel senso che la pazzia ha talmente superato il limite che è diventata normalità. Lo sbarco nel panorama televisivo di realtà come Dazn e Amazon ha reso le aste ancor più incredibili. Il calcio, bello o brutto che sia, rimarrà sempre un prodotto televisivo di prima fascia. Se oggi lo vuoi trasmettere devi pagare sempre di più. Giusto o sbagliato non lo so, però se poi le emittenti televisive soffrono nei bilanci e cominciano a pensare di apportare dei tagli, allora vuol dire che qualcosa di sbagliato forse ci deve essere.
Cosa si aspetta dall’Europeo? Chi è la favorita?
C’è un grande ritorno di nazionali storiche come Inghilterra e Germania, hanno lavorato molto bene, negli anni più difficili, con i loro giovani e ora stanno raccogliendo i frutti, non solo a livello di nazionali. Anche l’Italia può recitare un ruolo di prim’ordine, non è una squadra molto spettacolare ma ha assunto una concretezza e una consapevolezza dei propri mezzi che può portare lontano.
Un voto ai (quasi) due anni di Paulo Fonseca sulla panchina della Roma.
Mah, allenare la Roma non deve essere proprio una cosa semplice, la piazza ha sempre sofferto negli anni l’inferiorità di successi rispetto alle squadre del nord. Sedersi su quella panchina non è facile, anche perché questi sono stati gli anni del dopo Totti, quindi decisamente delicati. Fonseca mi sembra una persona molto equilibrata e buon conoscitore di calcio. Forse non è riuscito a dare alla sua squadra quel pizzico di spregiudicatezza e cattiveria necessarie per arrivare più in alto ma il voto può comunque raggiungere la sufficienza.
Quando vedremo presto anche da noi squadre che sperimenteranno il “brivido” di far esordire e confermare in campo ragazzi giovanissimi, al pari di Bellingham (Borussia Dortmund) e Foden (Manchester City), due esempi su tutti?
Temo che in Italia quel momento sia ancora lontano, il discorso è lungo e complesso ma certo i giovanissimi da noi stentano sempre a trovare spazio. Quindi finisce che lasciamo partire gente come Kean e Verratti e li vediamo raccogliere successi da altre parti. Mi rifaccio alla domanda sull’Europeo: paesi come Inghilterra e Germania hanno approfittato del loro cambio generazionale, e quindi di un periodo di sofferenza per mancanza di successi, per lavorare sui loro vivai con i risultati ora davanti agli occhi di tutti. Noi preferiamo piangerci addosso, riempire le nostre squadre di stranieri spesso sconosciuti dal valore decisamente inferiore a tanti nostri giovani. Poi attraversiamo i confini, giochiamo nelle coppe e raccogliamo solo le briciole.
La Juventus punterà su Pirlo anche il prossimo anno? Se sì, gli concederà attenuanti anche all’alba della prossima stagione, qualora le cose non dovessero andar bene in avvio?
La Juve prima di pensare alla riconferma di Pirlo dovrà chiarirsi le idee su tante cose, a cominciare dalla gestione di Cristiano Ronaldo per finire al rimodellamento di una zona nevralgica come il centrocampo. La squadra bianconera ha mostrato quest’anno molte lacune, fisiologiche certo dopo un decennio di successi, ma non molto ben tamponate sul mercato. Chiesa, Kulusevski e de Ligt sono giocatori sui quali cominciare a costruire la nuova Juventus, ma bisogna accettare il fatto che potrebbe volerci tempo e non sempre il tempo è amico nel mondo del calcio di oggi.
Se fosse il Presidente dell’Inter, come puntellerebbe la Beneamata della prossima stagione?
Intanto facendo subito chiarezza sulla gestione societaria, cinese o altro che sia. La stabilità e la solidità di una società è il primo punto alla base di ogni successo. Il gruppo nerazzurro ha ottime individualità, vedi Barella e Lukaku, per citarne solo due. Lo scudetto darà una enorme iniezione di fiducia per il futuro, tutto sta a non sprecare quanto di buono fatto in questa stagione. Conte ha mostrato di poter tornare sui suoi passi riguardo alcuni giocatori e aspetti tattici, l’Inter ora dovrà fare qualche passo avanti anche in Europa.
Fonti foto: bolognabasket.org, lavocedinewyork.com, ultimouomo.com e ilpubblicista.it
Erika Eramo & Alessandro Sticozzi